Odio gli Indifferenti. Gli ipocriti e i moralisti non ne parliamo


Non faccio nessun passo indietro, sia ben inteso. Non ho sbagliato, sono una persona onesta e leale ma soprattutto buona e non violenta, generosa e sfruttata, che sa pure chiedere scusa quando sbaglia. Rimango orgogliosamente coerente delle mie idee prendendo le distanze da quanti, ieri, hanno tentato di farmi passare per uno tollerante alla violenza sia pur senza dirlo apertamente.
Quando invece, al di fuori di qualche dannata zanzara verso la quale sarei capace anche di non dormire per tutta la notte pur di stramazzarla, non farei male nemmeno ad una mosca e nemmeno schiaccerei una blatta barese, ormai prossima all'emersione dai tombini, ma non per rispetto nei suoi confronti - tutt'altro - ma solo perché mi fa schifo. Io non sono un violento, no. Mai userò violenza anche nelle sfaccettature più blande verso chiunque. Il buon dio materano mi ha dato solo il pregio di saper uccidere senza ammazzare qualche idiota, imbecille, presuntuoso, arrogante, ebete di troppo ma soprattutto chi tenta goffamente di irridermi o di competere con me senza averne i numeri; ecco, quelli si che li ammazzo con la mia penna e, come sapete e come dico sempre, ne ho mietute di vittime, dati alla mano ovviamente.

Non devo giustificarmi con nessuno, né scusarmi non avendo arrecato danni a niuno. Piuttosto dovrebbero essere loro a chiedermene atteso che non hanno mostrato capacità interpretativa nel mio messaggio di ieri. Ma chiedere scusa, ammettere di aver sbagliato, a questo mondo, non è per tutti men che meno per gli orgogliosi senza orgoglio platinati dall'arroganza fascista e odiosa di chi si nasconde dietro la storiella della moralità e sicuramente, invece, lo è per me visto che il web è pieno, qua e là, di mie scuse pubbliche quando ritenevo di aver sbagliato: basta vedere. Peccato che altri che hanno sbagliato nei miei confronti si son limitati a chiedermelo privatamente e poche volte pubblicamente, da vigliacchi. Ma non ha importanza, quando si ha la coscienza posto si sorvola e si vive benissimo. Come me. Chi mi chiede scusa privatamente è un verme, si sappia.

Io continuo nella mia linea di uomo libero, non violento, sguinzagliato dalle logiche banali, corrotte e false, nonché dai dogmi preconfezionati nelle scatole dell'ipocrisia falso-moralista, quella pluto-giudaica, prendendo le distanze dalla violenza a 361 gradi in tutte le sue sfaccettature preferendo schierarmi e non rimanere indifferente al balcone della vigliaccheria un po' perché adoro Gramsci, un po' perché all'arrivo di Godot non ho mai creduto. Ho impostato la mia vita sullo schieramento, sempre, in direzione ostinata e contraria e mi sono sempre trovato bene, anzi benissimo. La prova? Che son rimasto fuori (fortunatamente) dal “giro” che conta, giornalisticamente parlando, avendo la possibilità di ridicolizzare chi si ergeva a portatore di verità assoluta. E i miei silenzi sono più rumorosi di un jet al suo decollo. Più prova del nove di questa, vacca d'un can!

Io mi schiero, sempre, anche a costo di sbagliare, a differenza di altra gente falsa moralista che si mostra tale e che, vai a vedere, in altri momenti della loro vita, la propria caramella l'avrà pure rubata e non solo quella: insomma chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma so perfettamente che l'appello rimarrebbe  mafiosamente e tremendamente sordo perché si preferisce apparire immacolati e verginelle davanti all'opinione pubblica dei falsi amici di facebook.
Io preferisco essere me stesso, onesto e sbagliato nello stesso tempo. Nelle immagini di ieri a Genova, oltre alla violenza psicologica che pure non ci sarebbe dovuta stare per nessuna ragione al mondo, io ho intravisto un chiaro disagio psicologico e una netta esasperazione da parte dei tifosi già di per se stanchi di questo calcio che non tira più e che diventa sempre più selettivo oltre che marcio e corrotto. Gli altri, i moralisti che han chiusi bar, hanno preferito mostrare il proprio disprezzo moraviano senza capire bene l'antropologica esegesi perché, magari, prevenuti con tutte le tipologie di tifosi. Han continuato, costoro, ipocritamente a prendere le distanze da ogni violenza, soffermandosi a denunciare il fumogeno caduto in campo che non sarebbe dovuto cadere ed, anzi, non sarebbe dovuto nemmeno entrare nello stadio Ferraris ma che, chissà perché, c'è entrato lo stesso, han continuato a percepirne la tensione che pure c'era e che non doveva esserci, a mostrarsi disperati e scioccati come non mai, tipico di quando accade un evento tragico in tv e lo si commenta su faceboook dove tutto si amplifica, e a fare paralleli coi campionati esteri dove, pare, in Inghilterra hanno applaudito la propria squadra che è retrocessa: noi siamo in Italia, un paese in perenne ebollizione come un vulcano inattivo a causa di una politica sbagliata e corrotta e che continua a colpire i più deboli piuttosto che chi ha rubato, e ogni parallelismo è idiota ed ipocrita ma soprattutto inopportuno. E' un po' come se volessimo paragonare due religioni di opposte latitudini che predicano la pace ma che, come noto, nascondono sempre qualche liceità violenta di troppo. Ecco l'ipocrisia.

Ieri a Genova io non ho visto il G8, non ho visto Piazza Alimonda, non ho visto morti, feriti, sangue, carri armati, manganelli, non ho visto cariche di polizia, né violenza fisica verso tifosi avversari e nemmeno coltelli, pietre e sputi: ho visto famiglie incazzate con la squadra, due tifosi, credo ultrà, esasperati ed orgogliosi della propria maglia che - è appena il caso di ricordare - non era quella dell'Albinoleffe o del Portogruaro ma del Genoa, 9 scudetti, 3 coppe italia e qualche partecipazione in Europa, a Liverpool, peraltro col nostro Torrente, in declino da qualche mese e che ieri sull'imbarazzante 0-4 contro una squadra alla sua portata come era il Siena e con una classifica sempre più preoccupante (sono quart'ultimi), hanno richiesto con un tono minaccioso ed esecrabile più impegno ai loro giocatori in un modo a dir poco anomalo e, nelle sue sfaccettature, anche parecchio violento, psicologicamente parlando, verso i giocatori rossoblu il più scarso  dei quali, di 20 anni, si becca 800 mila euro all'anno, mica 1500 lordi come me. Al mese. 
Non c'è da giustificare nessuno di quella tifoseria, perché qualunque violenza è da condannare ma quel che ho cercato di dire ieri sul mio profilo di facebook era volto, quanto meno, ad invitare quanti si mostravan ipocritamente terrorizzati di essere più comprensivi fino ad entrare, una tantum, nella loro mente. Ho invitato, costoro, a guardare le immagini non col pregiudizio imbellettato, ma dalla parte del tifoso, quello seduto sui gradoni di uno stadio e non sul divano in pelle di casa in attesa, magari, di masturbarsi gli occhi davanti a Conte e la sua Juve di lì a poco avrebbe giocato. Infondo si stava in uno stadio, mica al Teatro Petruzzelli o alla Scala alla prima della Turandot. In uno stadio non ci sarà mai il religioso silenzio. Mai. E chi va coi figli e con le mogli ne è consapevole. E' inutile ancorché da scemi, trincerarsi dietro la solita massima "ci sono donne e bambini", perché le donne e i bambini stanno pure per strada quando un automobilista ubriaco li becca in pieno e li fa secchi sul colpo. Anzi, le statistiche parlano chiarissimo: è più sulla strada che ci lasciano la pelle che negli stadi. Che si informino gli imbellettati dei miei stivali.

Era la prima volta che si facevano sentire quelli del Genoa proprio perché la pazienza, per loro, era arrivata al limite dopo cadute su cadute e una retrocessione dietro l'angolo da scongiurare. Non hanno ucciso nessuno, né caricato tifosi avversari ma si son semplicemente aggrappati ai divisori per scuotere i loro giocatori che, secondo loro, non si stavano impegnando più di tanto: non cercavan la gloria nemmeno visibilità nè tanto meno volevano corrompere qualcuno per giocare a perdere. Erano solo comprensibilmente incazzati neri come un interista webbaiolo e smanettatore di questi tempi. Ecco, io ho visto quell'orgoglio di appartensenza di una maglia, la trasposizione della passione che prevale su tutto, anche sulle famiglie, perché, forse, non gli rimane che il “Grifone” nella loro vita, la vita a cui il Paese ha voltato le spalle lasciandolo alla mercè di tutto. Orgoglio di appartenenza che pochissime volte ho visto in altre tifoserie compresa la nostra, detto papale papale. Da noi non ho mai visto una cosa simile: solo per sentito dire qualche schiaffo odioso a qualcuno negli spogliatoi dove è vietato entrarci, non riscontrabile da nessuno, e mai incazzarsi nel catino del San Nicola davanti a tutti i 5-10-50 mila. Mai. Solo rumor o cariche da censura.
Io ho visto una protesta singolare nei suoi contenuti, non violenta ma dura ed asfissiante ma soprattutto significativa dove mezzo stadio piuttosto che invadere il campo si è voltato dall'altra parte, ma questo in pochi lo hanno scritto, ricordato e detto badando più che altro alla violenza psicologica dalla quale, ripeto, prendo le distanze e non alle spalle dei tifosi verso il campo.

Ma per favore, una volta tanto, cercate di andare oltre e capirli, ascoltarli, questi tifosi da sempre vessati, presi di mira e condannati a morte solo perché osano fare il tifo, spesso in modo poco legale, per la propria squadra. Se si scava emergerà l'esasperazione, il disagio di una comunità che pure, nei limiti, va rispettata e compresa, va ascoltata quanto meno, al netto, lo ripeto sempre, di ogni qualsivoglia tipologia di violenza che mai dovrà essere tollerata.

Mai come ieri De Andrè mi è ridondato nella mente e, più precisamente, mi è tornato alla mente una celebre frase della canzone “Nella mia ora di libertà”, quando ad un tratto Faber ricorda “come ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane ma che ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”.
Ecco, io mi son rifatto a queste parole nel vedere quelle immagini di Genova, anche se, inevitabilmente, non ho potuto fare a meno di pensare ad altre, guardando i tifosi e soprattutto i moralisti da divano che fan fatica a scagliare la pietra, secondo cui “per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”.
“Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”.
Mi chiedo: ma qual'è il crimine giusto per non passare da criminali? Chi mi risponde?

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