L'Italia s'è desta. Bari non ne parliamo

Editoriale per Go-Bari 16/03/2011
150esimo anniversario tra nocelline, palloncini, qualche mostra interessante, e la solita banda locale

Non ci sono mai piaciute le frasi confezionate, quelle partorite dai pc color ministero e digitate da segretarie factotum che con l'italiano, spesso e volentieri, sono in perenne guerra (non ne parliamo col congiuntivo e la consecutio temporum) e divulgate col fine di diventare di default per tutti gli enti, scuole, ministeri e pubbliche amministrazioni così da rendere la festa più celebrativa. No. Noi che, orgogliosamente e felicemente, sappiamo ancora - più o meno - leggere e scrivere e riteniamo altresì di avere ancora quel minimo di padronanza linguistica base con cui poter dire la nostra in piena libertà e brillantemente dando il giusto peso a tutto, preferiamo celebrare il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia in maniera sincera, spontanea, ma soprattutto "a parole nostre", spiando ovviamente dal buco della serratura barese.


Una giornata, quella di domani, che almeno a Bari verrà festeggiata senza grandi e particolari eventi, o quanto meno, senza quegli eventi a carattere nazionale che avrebbero potuto e dovuto sfondare lo schermo (vista la occasionale festività che, purtroppo, temiamo di non poter rivedere tra 50 anni) tanto da costringere a parlare di "noi" così come, invece, inevitabilmente faranno parlare di Milano, Roma, Napoli, Ancona, Palermo e soprattutto Torino col suo bellissimo Palazzo Carignano: oltre, infatti, alle solite mostre sicurtamente interessanti, ai ricci di mare - giornata primaverile permettendo - divorati 'nderr a la lanz o alla Forcatella da famiglie con bimbi al guinzaglio pronti a ricevere il solito terapeutico ceffone al primo capriccio, oltre al solito dispiego di bici occasionali sellate dai professionisti, e non, comunisti radical chic con rigorosa gomma sgonfia posteriore perchè la pompa non si trova, quasi a dimostrare che a Bari "si va pure in bici" quando invece, tranne per quei 9 audaci quotidiani, non è assolutamente vero, oltre alle solite note della bande locali alla Totò a Colori, alle due nocelline americane, ai noccioli di olive sputati per terra e a qualche palloncino tricolore che, inevitablimente, scapperà dalla mano del povero bimbo in carrozzino, al gelato caduto miserevolmente per terra come accade per i pomodori bollenti della celebre focaccia barese, e alle solite bottiglie di vetro a riempire i marciapiedi, temiamo che non ci sarà altro da vedere. A Palazzo di Città, infine, sempre per rimanere in una dimensione locale, stanno preparando striscioni e manifesti ben in evidenza. Insomma una festa nazionale dal sapor, come per quella di San Nicola, molto (troppo) popolare che rimarrà anonima all'Italia intera, magari trascorsa a trangugiar pasta al tricolor con basilico, marzotica e salsa.
Ci sarebbe potuta essere l'Orchestra del Petruzzelli, con il celebre Maestro Lorin Maazel, ad allietare il palato sopraffino dei baresi ma soprattutto, come suddetto, per far parlare (anche) di noi mediaticamente: purtroppo si è preferito far allietare le teste pelate d'oltre oceano poste sulle siluette inglobate da occasionali tait e frack di ambasciatori, comare e consorti al seguito, che dell'Italia conoscono, e ricordano, solo spaghetti, mafia e, forse, ancora Roberto Baggio. Seppure.

Una Unità d'Italia che, vista in chiave barese, sembra essere legata solo grazie al calcio in TV. Un sentimento nazionalistico a cui troppo spesso, e senza quel pizzico di autarchia che in questi frangenti, invece, sono necessari, sfocia nella passione per le squadre più titolate (milanesi e Juve), naturalmente per colpa del presidente della squadra locale, Matarrese, al quale non sono bastati 35 anni di impero e di talassocrazia adriatica per comprendere che la città conquistata attraverso le famose promesse da marinaio, se solo stimolata a dovere, avrebbe risposto alla grande, anzi, alla grandissima. Altro che miseria e nobiltà di Punta Perotti.

E' una Unità di Italia che, tra qualche difficoltà e col dolore al cuore per ciò che sta accadendo in Giappone, unirà il popolo italiano in un sol tutto anche se tra qualche scena ipocrita di troppo e qualcun'altra sicuramente forzata, si riuscirà a coprire i palinsesti del vari tg nazional popolari, magari non dimenticando di inquadrare Ruby, la Carfagna e il suo ex amante, il Trota e suo padre con l'immancable dito medio alzato in segno dell'Unità d'Italia e la ministra Prestigiacomo da Ortigia, affacciata dalla ringhiera della sua splendida Fonte Aretusa, dimenticandosi che l'Italia è una nazione ad alto rischio sismico, a tranquillizzarci sulle nostre costruende centrali nucleari  le quali "mica saranno come quelle giapponesi, saranno assolutamente sicure".

Una unità d'Italia che, almeno per noi che ci occupiamo di sport e di cultura, dovrebbe essere più sentita così come accade in qualsiasi altro paese, e non occasionalmente quando c'è da tifare per la nazionale in TV e nemmeno per seguire l'Inter in Champion's. Una Unità che vorremmo fosse sempre uguale a quella decodificata dalle immagini del "6 Nazioni" di Rugby al Flaminio dove, in genere, eravamo abituati a seguire Springsteen, così come in quelle del mitico "Settebello" di pallanuoto dove il nostro Ciccio Attolico difendeva la porta.

Il calcio - ma anche la tavola - unisce da sempre i popoli anche se storicamente sono divisi dalla politica. E Bari ne è un esempio la cui squadra è storicamente bipartisan: la birraperoni ghiacciata bevuta allo stadio o davanti alla TV è bevanda gradita tanto a destra quanto a sinistra. Celebri le sedute rimandate a causa della nazionale di calcio o della squadra strisciata impegnata in coppa, segno che quando c'è volontà di intenti non c'è decreto "mille proroghe" che tenga.

Lo sport alleggerisce le tensioni, soprattutto quelle politiche; significativo l'esempio come quella volta in cui il ping-pong riuscì ad avvicinare due popoli storicamente divisi come U.S.A. e Cina: la tensione fra le due superpotenze era alle stelle allorquando si optò per un diplomatico scambio di visite tra le squadre, palline e racchette incluse, al punto che fu sancita la distensione definitiva dei rapporti fra i due paesi. Potenza di una pallina... Altro che tricolore. Capito Borghezio? Ah, "maledetto" Garibaldi: ma non si poteva stare a casa sua quel giorno? E a Teano, invece che il Re e lo stesso Garibaldi, non si potevano incontrare il Bari contro la Nocerina, magari in campo neutro?
Massimo Longo

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